Expert Python Programming Second Edition Michal Jaworski Tarek Ziadepdf download
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Livery Place
35 Livery Street
Stefano Gallini, fisiologo insigne, nato nel 1788 a Venezia, d'anni 80:
indice cefalico 74,29; circonferenza massima 520.
Arcate sopracciliari marcate. Molto rilevate la linea temporale e la
semicircolare superiore dell'occipitale. Manca la sutura parieto-
sfenoidale sinistra, mentre il frontale e la squamma del temporale
vengono a contatto per l'estensione di un millimetro. Assai sviluppati
i processi mastoidei. Doppio forame sottorbitario. L'apofisi
lemurinica, presente solo a sinistra, ha 11 mm. di base e 3 mm. di
altezza a sinistra.
Carlo Conti, matematico illustre, nato nel 1849 a Legnago, d'anni 47:
indice cefalico 85,83; circonferenza massima 530.
Osso wormiano fontanellare bregmatico di millimetri 21,5 di
diametro longitudinale per 12 mm. di diametro transversale, un osso
wormiano pterico a destra ed uno nella sutura lambdoidea. Tre
wormiani fontanellari asterici ed altri minori per ciascun lato. Il
condilo occipitale sinistro è molto più lungo del destro, misurando
24, in luogo di 18 mm. La metà destra dell'apertura anteriore delle
fosse nasali è più stretta in direzione transversale. Apofisi lemurinica
sinistra.
Bertillon Gambetta
Bertillon Gambetta
Padre. Figlio.
Indice lobare frontale: Indice lobare frontale:
sinistro 60,4, destro sinistro 61,0, destro
58,0; 57,9;
Indice lobare parietale: Indice lobare parietale:
sinistro 22,2, destro sinistro 23,6, destro
20,6; 26,3;
Indice lobare occipitale: Indice lobare occipitale:
sinistro 17,4, destro sinistro 15,3, destro
21,4; 16,3;
Padre. Figlio.
Giacomo 3 1 4
Giacomini
Carlo Conti 6 3 9
Victor Hugo 1 2 3
Asseline 1 1 2
Assézat 1 1
Couderau 1 1
Gambetta 1 1 1 3
Bertillon 3 1 1 5
Véron 4 4
Pizzarro 2 1 3
Séguin 1 3 5 9
padre
Séguin 1 3 5 9
figlio
Kowalevski 2 2
Helmoltz 1 3 1 5
Tiedemann 2 2
ANOMALIE NEL GENIO.
Byron 4 4
acquisite
Volta 2 2 1 5
Elbert 2 2
acquisite
Pascal 1 1
Donizetti 1 1
Fuchs 1 1
Kant 3 3
Pericle 1 1
Wulfert 1 1
Huber 1 1
Lascher 4 4
acquisite
Scarpa 1 1
Dante 1 2 3
C. 4 2 6
Giacomini
Bichat 1 1
E altrove: "È necessario che i Poeti sieno vivacissimi, che l'Anima loro
sia rapita, quando uopo il richiede, dal furore e s'avvicini in certa
guisa all'Estasi, ed all'astrazion naturale per non dire alla Manìa"
[115].
Quadrio [116], nella sua Storia e ragione d'ogni poesia, lib. I, Bologna,
1739, ha vagliato sottilmente la questione della natura del genio per
quanto riguarda i poeti, valendosi della fisiologia e dell'anatomia
dell'età sua. Egli dimostra l'influenza dell'aria (i moderni la dicon
clima) sulla creazione poetica: "Non è senza ragione che tra le cose,
le quali aiutano l'attitudine alla Poesia, l'aria occupi il primo posto...
Dimostracisi ogni giorno questa verità da diversi umori, e da
differenti caratteri che han le persone di diversi paesi. Il Cielo crasso
di Tebe faceva gli abitatori stupidi; quello di Abdera li faceva rozzi;
quello di Theman prudenti; quello di Atene acuti. Bisogna, adunque,
che il Cielo, sotto il quale si vive, sia in primo luogo d'ogni aura
corrotta purgato e sgombro... ma conviene ancora che l'aria non sia
nè troppo calda nè troppo fredda, ma piuttosto inchinevole al dolce,
ed al temperato... finalmente è uopo, come bene insegnò Ippocrate,
che l'aria, dove si abita, sia a frequenti mutazioni soggetta: perchè la
perpetua egualità de' tempi, rendendo dal lungo uso rintuzzato per
pigrezza il caldo, rende ottusi gl'ingegni: dove per lo contrario la
predetta variazione dell'aria, per nevi, pioggie e venti, cagionata,
agitando e scotendo sovente il sangue, contribuisce non poco a
tener purgati e vivaci gli umori e gli spiriti. L'Italia e la Grecia, perchè
furono nel quinto clima in così fatto ineguale temperamento locate,
vediamo che ognora furono d'eccellenti uomini copiose, e
specialmente d'insigni Poeti".
Sono le medesime conclusioni a cui giunsi io studiando di proposito,
nell'Uomo di genio, la distribuzione geografica dei genî.
Studiando le condizioni interne che favoriscono la creazione poetica,
soggiunge poi: "Coloro, nei quali il freddo ed il caldo sono come in
equilibrio, esser non posson mai che spiriti mediocri. Espressamente
nella Poesia chi vuol eccellente riuscire, deve contentarsi di passare
tra gli uomini per testa calda: perchè niun grande spirito non fu mai,
per osservazione di Seneca, che qualche mescolamento di bella
pazzia non avesse nel capo".
I contrassegni del genio studiati secondo la fisionomia d'allora sono
dal Quadrio esposti in questo passo: "Il color della faccia è in essi
traente un pochetto al fosco: e tutto l'aspetto è anzi piuttosto
severo, e truce, che mansueto, ed aperto. Hanno gli occhi
proporzionati, e più tosto nella fronte entranti, che sporti in fuori.
Che se questi dalle giuste loro misure declinano un pocolino, ciò è,
non alla grandezza, ma alla picciolezza. Le linee, che lor rigano la
fronte, e le mani, sono profonde: e le vene hanno essi ampie, e
gonfie, e il polso veemente, e alquanto duro, il corpo per lo più
magro ed asciutto, e il sonno nè molto abbondante, nè molto grave,
ma scarso e leggiero. Il loro temperamento poi è pessimo, tanto che
paiono più tosto pazzi che forti, ma nei loro sentimenti sono costanti
e tenaci".
Sul momento della creazione artistica nota il Quadrio: "Talvolta i
grandi e magnifici poeti si sentono dispostissimi a far loro versi, e
loro componimenti, e maravigliosi oltre modo, e ragguardevoli gli
compongono; e tal'altra volta siano in maniera mal atti, e mal pronti,
che, non che cosa di molta stima, ma un picciolo epigramma, o un
picciol sonetto non dice lor l'animo di comporre, che buono sia". Le
quali considerazioni, osserva il Marpillero, coincidono con quelle del
Leopardi che, per mezzo dell'introspezione, aveva osservato e
sorpreso il momento in cui avveniva la creazione artistica: "Nello
scrivere non ho mai seguito che una ispirazione o frenesìa,
sopraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la
distribuzione di tutto il componimento. Questo è il mio metodo, e se
l'ispirazione non mi nasce da sè, più facilmente escirebbe acqua da
un tronco, che un solo verso dal mio cervello".
Ma che cosa è l'entusiasmo, l'estro poetico? Il Quadrio così lo
definisce: "L'estro poetico è una forte, ma regolata agitazione de'
predetti spiriti, fattasi o per la troppo attuazione predetta della
fantasia, o per lo predetto bollimento de' fluidi, per la qual forte
agitazione producono eglino idee, cose nobili, e oltre l'uso
maraviglioso, che rapiscono gli uditori con loro stessi fuora di loro.
"Molti celebri poeti leggiamo, che divennero pazzi, o manìaci,
rimanendo le loro fibre cerebrali sforzate, e viziate dagli impeti
dell'entusiasmo, o perchè troppo violenti, o perchè troppo durevoli".
Tale entusiasmo presso gli antichi Goti era chiamato Skallwingl, cioè
vertigine poetica, ed anche qui la voce popolare aveva colta
l'analogia con l'epilessia, perchè le vertigini ne sono spesso
l'equivalente, ed il furore poetico era così definito un accesso
epilettico, e, soggiunge il Quadrio, questi accessi sono più acuti nei
noviluni.
Tra le cause del furore poetico il Quadrio dà una causa importante
alla passione che assume le forme della collera, della vendetta, della
vergogna, e che col Malebranche egli ritiene connaturali alla ragione
e non ad essa contrarie.
Ma un mezzo sicuro ed efficace per l'estro poetico è il vino: "Orazio,
Properzio ed Ovidio anche essi non sanno finire di celebrare i
vantaggi, che esso al poeta cagiona, e l'eloquenza che gl'infonde: ed
Ateneo presume infino di mostrarlo al ben poetar necessario:
valendosi a ciò provar degli esempi di Aristofane, di Alceo, di
Anacreonte, e di altri, che dettarono i loro poemi, dopo essersi bene
avvinati. Neppur Eschilo scrisse le sue Tragedie che dopo aver ben
bevuto, come testifica Luciano".
Il Quadrio esamina poi se la natura, l'arte o il furore siano le cagioni
della poesia, e distingue poeti di natura, come Omero, Ovidio, il
Boiardo, l'Ariosto, che scrissero più portati dall'istinto che dallo
studio; poeti d'arte, come Virgilio e Torquato Tasso, "che, quasi
avendo contrario il vento della natura, con lo sforzo di studiate
osservazioni navigano verso Parnasso"; e poeti di entusiasmo, come
quelli del popolo ebreo, "che, rapiti come fuori di sè per qualche
ragione o sopra natura, o secondo natura, cantano in versi cose oltre
l'uso sublimi", dando così occasione a quel detto del rètore Aristide:
che tutto il grande è senza arte. Fatte queste distinzioni sottili e che,
invero, non sempre reggono alla prova dei fatti, egli si dichiara
eclettico, comecchè per essere ottimo poeta occorrono la natura,
l'arte ed il furore.
CAPITOLO XVII.
La psicosi del genio nell'opinione dei popoli
primitivi e selvaggi.
Del rispetto che gli Ebrei antichi avevano per i pazzi, tanto da
confonderli con i santi, abbiamo una prova in quel passo della
Bibbia, in cui Davide si finge pazzo, per sottrarsi alle insidie e alle
uccisioni, ed il De Achis dice: "Non ho io abbastanza pazzi qui, che
mi viene costui?" (I, Samuel, XXI, 15, 16). — Questo cenno è indizio
della loro abbondanza e, sopratutto, della loro inviolabilità, dovuta
certamente al pregiudizio comune ancora agli Arabi, ecc.; — del che
prova sicura è l'usarsi che si fa alcune volte nella Bibbia della parola
navì (profeta) in senso di pazzo e viceversa, come in sanscrito
nigrata. Per es., Saul, che già prima dell'incoronazione aveva
profetato improvvisamente e con tanto stupore dei circostanti, che
ne nacque il proverbio: "Anche Saul è fra i profeti", divenuto re un
dì, lo spirito divino malvagio (ruack eloim navà) pesò sopra lui... e
profetava (qui impazziva) — vait navà — nella casa, e con una lancia
cercò trafiggere Davide (I, Samuel, XIX, 9, 10, 23; Ricard Mead,
Medic. Sacra, III). In Geremia, 29, 20 si legge: "Dio ti ha costituito
sacerdote sopra i pazzi ed i profeti (vaneggianti e profetanti) per
metterli in prigione". — E quando il figlio del profeta fu mandato
segretamente a Jehu da Eliseò per cingerlo re, i compagni di questo,
vedendolo uscire dalla casa, dissero: "Jehu, va ogni cosa bene?
Perchè è venuto questo pazzo?" (mesugan). — E Jehu: "Voi
conoscete l'uomo e il suo senno". — Ma essi dissero: "No, dichiarane
schiettamente ciò che disse". — Ed egli: "Ei m'ha detto così e così";
così disse Dio: "Io ti ho unto re" (Re, II, cap. XI, v. 11, 12). — Ed